Il calcio vuole ripartire. Così come desiderano ripartire tutte le altre attività produttive e, soprattutto, come sperano tutti i lavoratori che vivono del ‘misero’ stipendio.
I fautori del “Bisogna far ripartire il calcio a tutti i costi” si fanno forti del dato inconfutabile che proprio il calcio è una delle primissime industrie del Paese. Peccato che è un industria che per alimentarsi ha bisogno degli stipendi delle altre attività produttive, anche meno ricche e spendaccione del calcio stesso.
Senza gli stipendi dei lavoratori delle altre attività produttive:
- difficilmente ci sarebbero i TANTI SOLDI per pagare i due-tre abbonamenti necessari per vedere tutto il calcio in Pay-TV (leggi diritti TV);
- potrebbero non esserci TANTI SOLDI per comprare i gadget originali di un club (leggi merchandising).
- difficilmente ci sarebbero TANTI SOLDI per comprare un abbonamento allo stadio e i biglietti per una gara di Champions League (leggi incasso al botteghino).
- potrebbero non esserci TANTI SOLDI a disposizione per la pubblicità non solo da versare ai club ma anche per la sopravvivenza già difficile delle trasmissioni radio-televisive locali (leggi sponsor).
Soprattutto non ci sarebbero i SOLDI degli sponsor locali FONDAMENTALI per tenere in vita molti club dei CAMPIONATI MINORI.
Senza la ripartenza della altre attività produttive LA TERZA INDUSTRIA DEL PAESE è destinata a un forte ridimensionamento. Ma poi siamo sicuri che se questa stagione non dovesse concludersi la conseguenza sarebbe la fine del calcio in Italia? Sembra più un ricatto per forzare la mano che un pericolo effettivo per chi ha la forza di pagare 60 milioni di euro lordi l’anno per l’ingaggio di un solo giocatore. Per chi compra a 18 milioni di euro il cartellino di un giocatore fermo da un anno solo per consentire a un altro club di mettere a bilancio una plusvalenza…“Perché nel calcio servono anche i buoni rapporti”.
La cosa inaccettabile è che quando si parla di “Bisogna far ripartire il calcio a tutti i costi” il riferimento non è a tutto il calcio ma alla SOLA Serie A indebitata per le cattive gestioni societarie con uscite ogni anno superiori alle entrate. Società che pagano ingiustificate commissioni e ingaggi faraonici anche per calciatori che qualche decennio fa avrebbero giocato forse solo a livello amatoriale.
Salvando ovviamente quelle pochissime virtuose mosche bianche quali ad esempio il Napoli.
Ma la confusione sulla ripartenza della Serie A ha generato conflitti tra club che non vorrebbero ripartire (a dire il vero anche per questioni di classifica) e club invece che sono convinti di vincere qualche trofeo insperato a inizio stagione.
Ma in ballo ci sono anche le responsabilità legali che nessuno intende assumersi per la difficile applicazione del protocollo varato dalla FIGC. Se dovesse contagiarsi un tesserato chi ne risponderebbe dal punto di vista legale?
Che la decisione di ripartire è solo legata a un aspetto economico è dimostrato anche dal fatto che, in caso di eventuale ripartenza, si pensa di giocare prima le ultime tre partite della Coppa Italia e non i quattro recuperi della 25esima giornata che permetterebbero di avere una classifica più attendibile in caso di definitivo stop del campionato. Ma giustamente concludere la Coppa Italia significherebbe salvare almeno la totalità dei diritti TV pagati dalla Rai.
Tra stadi vuoti, partite in campo neutro, la perdita degli equilibri acquisiti a marzo, questa stagione di sportivo cosa ancora avrebbe da offrire? Ma poi chi avrebbe la coscienza di festeggiare e vantarsi dei titoli vinti in questa stagione?