IL Presidente della FIGC Gravina è intervenuto a un forum organizzato dall’Ascoli Calcio e ha parlato del momento del calcio italiano. Questi alcuni passaggi delle sue dichiarazioni.
“Mi auguro che il mondo del calcio, che ha un impatto altamente sociale nel nostro Paese, possa ripartire con minori individualismi.
Il mio senso di responsabilità mi porta ad avere un piano B, C, D. Ma se esso deve far rima con “è finita” dico che, finché sarò Presidente della FIGC non firmerò mai per il blocco dei campionati perché sarebbe la morte del calcio italiano.
Io sto tutelando gli interessi di tutti. Mi rifiuto di mettere la firma ad un blocco totale, salvo condizioni oggettive relative alla salute dei tesserati, allenatori, staff tecnici e addetti ai lavori. Però qualcuno me lo deve dire in modo chiaro e mi deve impedire di andare avanti.
Con la chiusura totale il sistema perderebbe 700-800 milioni di euro, se si dovesse giocare a porte chiuse la perdita sarebbe di 300 milioni, se si ripartisse a porte aperte la perdita ammonterebbe a 100-150 milioni, anche se quest’ultima ipotesi non è percorribile.
Noi abbiamo forti responsabilità contrattuali verso partner e istituzioni internazionali, Uefa, Fifa.
In Francia è il Governo che ha stabilito ciò che doveva fare la Federazione e il Paris Saint Germain ha detto subito di aver perso 200 milioni di euro. Al momento non sa se riuscirà a partecipare alle coppe europee.
Vi immaginate quanti contenziosi dovremmo affrontare in caso di stop? Chi viene promosso? Chi retrocede? Quali diritti andremo a calpestare? Tutti invocano il blocco, lo faccia il Governo, ce lo imponga, io rispetterò sempre le regole.
Se non ragionassimo come sistema, la ripartenza per i club avrebbe dei costi fissi ingenti. Non ci saranno incassi dai botteghini, ci saranno meno sponsor perché le aziende sono in difficoltà, la valorizzazione del prodotto correrebbe il rischio di avere meno peso specifico, ci saranno meno diritti televisivi. Dobbiamo fare una riflessione: non è il caso di fare una riforma, intesa come modalità di sviluppo sostenibile e non solo per quanto riguarda il format playoff/playout?
E’ questo il tema su cui dobbiamo concentrarci: siamo gli unici in Europa ad avere cento squadre professionistiche e non si possono più sostenere”.